Fave, mele e pere: l’alimentazione degli schiavi nell’antica Pompei

Egidio Luigi

Dicembre 5, 2025

Nel 2025, gli scavi archeologici nella villa di Civita Giuliana, situata nei pressi di Pompei, hanno portato alla luce importanti reperti che offrono nuove informazioni sulla vita degli schiavi nell’antica Roma. Recenti ritrovamenti di anfore contenenti fave e un cesto di frutta confermano quanto già emerso da fonti storiche, rivelando che i lavoratori schiavizzati godevano talvolta di una dieta migliore rispetto a quella di alcuni cittadini liberi. Questo fenomeno si spiega con il fatto che gli schiavi erano considerati “strumenti di produzione” e per questo motivo i loro padroni cercavano di mantenerli in buona salute.

Scoperte significative nella villa di Civita Giuliana

Le anfore e il cesto di frutta sono stati rinvenuti in un’area al primo piano del quartiere servile della villa, dove gli scavi sono iniziati nel 2017. Questo sito ha subito saccheggi nel corso degli anni, rendendo le scoperte attuali ancora più preziose. Il cibo rinvenuto non era solo un nutrimento, ma rappresentava un’integrazione fondamentale per uomini, donne e bambini che vivevano in celle anguste di soli 16 metri quadri, spesso condivise da più persone. La dieta degli schiavi, prevalentemente a base di grano, veniva arricchita da alimenti ricchi di vitamine e proteine, come le fave e la frutta, per garantire che il loro valore economico non diminuisse. Infatti, il valore di un schiavo poteva raggiungere cifre considerevoli, fino a diverse migliaia di sesterzi.

La scelta di conservare il cibo al primo piano, in una zona strategica, aveva lo scopo di proteggere i beni alimentari dai roditori e di controllare il razionamento, in base a criteri quali età, sesso e mansioni. Gli schiavi più fidati, che alloggiavano in questa area, erano responsabili della supervisione degli altri, creando una gerarchia interna tra i servitori.

Il paradosso della nutrizione tra schiavi e liberi

Un aspetto sorprendente emerso dalle ricerche è la possibilità che gli schiavi delle ville nei dintorni di Pompei avessero accesso a una nutrizione migliore rispetto a quella di molte famiglie di cittadini liberi. Queste ultime, spesso in difficoltà economica, si trovavano costrette a chiedere elemosina per sopravvivere. Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco archeologico di Pompei e co-autore dello studio sul quartiere servile di Civita Giuliana, ha sottolineato come questo scenario evidenzi l’assurdità del sistema schiavistico dell’epoca. Gli schiavi erano trattati come oggetti, ma la loro umanità non poteva essere completamente negata.

La vita quotidiana degli schiavi e dei liberi si intrecciava in modi complessi, tanto che spesso gli schiavi condividevano pasti e spazi con i liberi. Questo fenomeno ha portato a riflessioni profonde da parte di pensatori dell’epoca, come Seneca e San Paolo, che riconoscevano una forma di schiavitù universale che trascendeva le condizioni sociali.

Prospettive future per gli scavi a Civita Giuliana

Gli scavi nella località di Civita Giuliana continueranno nei prossimi mesi, con l’obiettivo di ricostruire un quadro più dettagliato dell’organizzazione della villa e del suo quartiere servile. Questi studi non solo arricchiranno la nostra comprensione della vita quotidiana nell’antica Pompei, ma offriranno anche spunti di riflessione sulle dynamiche sociali e economiche del tempo. La scoperta di questi reperti rappresenta un passo significativo verso la comprensione delle complessità della società romana, in cui il confine tra schiavitù e libertà era spesso sfumato.

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