Raid a un ospedale nella Striscia di Gaza: 20 morti, tra cui 5 reporter. Netanyahu esprime rammarico, Trump prevede fine della guerra in tre settimane.

Egidio Luigi

Agosto 26, 2025

Secondo le dichiarazioni di Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti, la guerra a Gaza potrebbe giungere a una conclusione entro le prossime due o tre settimane. Durante un’intervista tenutasi alla Casa Bianca, Trump ha affermato: “Penso che entro le prossime due o tre settimane si arriverà a una conclusione positiva e definitiva”. Queste affermazioni non sono nuove, poiché il presidente ha già espresso preoccupazione per la situazione, sottolineando la necessità di porre fine al conflitto a causa delle gravi sofferenze e della perdita di vite umane.

Attacchi all’ospedale Nasser

Una serie di attacchi aerei ha colpito l’ospedale Nasser, un evento che ha suscitato indignazione e preoccupazione a livello internazionale. Mentre l’IDF (Forze di Difesa Israeliane) prosegue la sua offensiva a Gaza City, sono stati lanciati raid sulla struttura sanitaria di Khan Younis, l’unica parzialmente operativa nel sud della Striscia. Questi attacchi hanno avuto luogo nonostante la presenza di civili, operatori umanitari e giornalisti, sollevando interrogativi sulla condotta dell’esercito israeliano.

Il bilancio degli attacchi è drammatico: almeno 20 persone hanno perso la vita, tra cui cinque giornalisti che stavano documentando il conflitto per importanti testate come Reuters, Associated Press e Al Jazeera. Questo tragico evento porta a 245 il numero totale di reporter uccisi in meno di due anni di guerra a Gaza, rendendo questo conflitto il più letale per i professionisti dell’informazione. La notizia ha suscitato una forte reazione a livello globale, costringendo l’esercito israeliano ad annunciare un’inchiesta e il primo ministro Netanyahu a esprimere “profondo rammarico” per quello che ha definito un “tragico incidente”.

Le vittime e la reazione internazionale

Il primo attacco aereo sul Nasser ha avuto luogo in pieno giorno e ha causato la morte di Hossam al-Masri, un giornalista di Reuters, mentre stava trasmettendo in diretta. Poco dopo, un secondo raid ha colpito l’ospedale mentre i soccorritori tentavano di estrarre i feriti. Tra le vittime ci sono anche Mariam Dagga, Mohammed Salama, Ahmad Abu Aziz e Moaz Abu Taha, con un altro collaboratore di Reuters, Hatem Khaled, che è rimasto ferito.

La strage ha innescato una condanna unanime da parte di numerose organizzazioni e media. Reuters ha dichiarato di essere “sconvolta” dall’accaduto, mentre l’AP ha espresso “shock e tristezza”. Al Jazeera ha denunciato gli “omicidi” dei giornalisti, ricordando che solo due settimane fa aveva perso quattro reporter in un attacco mirato. Le organizzazioni non governative e i sindacati dei giornalisti hanno accusato Israele di tentare di “silenziare le voci indipendenti” nella Striscia, dove l’accesso ai media stranieri è limitato.

Le reazioni delle istituzioni e degli alleati

Le Nazioni Unite hanno ribadito che “gli ospedali e i giornalisti non sono un bersaglio” e hanno chiesto un’inchiesta indipendente sugli attacchi. Anche i paesi alleati di Israele hanno espresso preoccupazione per la situazione. Donald Trump ha dichiarato di “non essere contento” per l’attacco all’ospedale, mentre Londra e Berlino si sono dette “scioccate” e “inorridite”. La Spagna ha definito l’azione un'”inaccettabile violazione del diritto umanitario”, mentre la Francia ha invitato Israele a “rispettare” le norme internazionali. In Italia, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha chiesto di “garantire l’incolumità dei giornalisti“. Il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin ha espresso il suo sgomento per quanto sta accadendo a Gaza, nonostante le condanne globali.

In risposta agli attacchi, l’IDF ha affermato che i suoi soldati non mirano ai giornalisti e che cercano di minimizzare i danni ai civili. Tuttavia, il numero crescente di vittime civili, inclusi i reporter, solleva dubbi sulle reali intenzioni delle operazioni militari. Nonostante Netanyahu abbia annunciato la volontà di avviare immediatamente negoziati per liberare gli ostaggi e porre fine al conflitto, la situazione diplomatica rimane stagnante. In questo contesto, le famiglie degli ostaggi hanno programmato una ‘Giornata di lotta’ in Israele per sollecitare il governo a trovare un accordo che consenta di riportare a casa i loro cari e fermare le ostilità nella martoriata Striscia di Gaza.

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