La Francia si conferma come la nazione leader in fatto di stelle Michelin, un riconoscimento che evidenzia l’importanza della sua cucina nel panorama gastronomico mondiale. Durante le Olimpiadi di Parigi, celebrate nel 2024, la nazione ha messo in risalto la sua arte culinaria e il suo stile di vita raffinato. Tuttavia, un’ombra si staglia sul futuro di questo patrimonio: la possibilità che numerosi ristoranti possano chiudere. Gli chef francesi, preoccupati per questa eventualità, hanno lanciato un appello accorato. Tra i firmatari ci sono nomi noti come Alain Ducasse, Yannick Alléno, Hélène Darroze e Thierry Marx, i quali denunciano un crescente abbandono da parte delle istituzioni e chiedono che la gastronomia venga considerata un’“eccezione culturale”, alla stregua di musica e cinema. Essi invocano politiche di sostegno volte ad attrarre nuovi talenti, a rafforzare l’educazione alimentare nelle scuole e a promuovere una cultura del gusto fin dalla più giovane età.
Il valore della cucina come soft power
Secondo gli chef firmatari, la gastronomia non rappresenta un privilegio per pochi, ma è un bene comune, riconosciuto come patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO dal 2010. Questo settore è il fulcro di un ecosistema che connette produttori, allevatori, viticoltori, cuochi, sommelier e artigiani della tavola. Nessun altro ambito, sostengono, impiega così tanti lavoratori per offrire esperienze di alta qualità, mantenendo margini di profitto così esigui. La gastronomia non è sinonimo di elitismo: è un’eccellenza accessibile a tutti.
Negli ultimi anni, gli chef hanno evidenziato che sono stati effettuati significativi investimenti in innovazione, sostenibilità e miglioramento delle condizioni lavorative. Sono stati introdotti nuovi modelli per rendere la professione più attrattiva e sostenibile. Nonostante questi sforzi, le difficoltà aumentano: normative complesse, oneri fiscali, riduzioni dei sussidi e incertezze geopolitiche minacciano la stabilità di un settore già in competizione con il cibo industriale.
Le richieste degli chef: meno burocrazia e più visione politica
Gli chef esprimono preoccupazione per una serie di misure che stanno soffocando il settore. Tra queste, il tetto imposto al “bonus Macron”, uno strumento utile per premiare i dipendenti, il ridimensionamento dei sussidi per l’apprendistato e la nuova tassazione sulle mance, che penalizza ingiustamente il personale. Da qui l’appello a un rinnovato impegno politico: riaprire il dibattito sul “fatto in casa”, differenziare chi lavora artigianalmente da chi utilizza prodotti industriali e creare un quadro normativo che valorizzi qualità e impegno.
Noi, appassionati rappresentanti della cucina d’autore, siamo un’eccezione”, si legge nella nota degli chef. “Quale altro settore, se non la gastronomia, riunisce così tante competenze, quella di eccellenti produttori e allevatori, quella di viticoltori, artigiani della tavola e della decorazione, quella di cuochi, pasticceri, sommelier e personale di sala altamente qualificato? Quale altro settore impiega così tanti lavoratori per servire i propri ospiti, con un rapporto che spesso si avvicina a un dipendente per cliente? Quale altra professione produce una tale raffinatezza con margini così bassi?”.
Un appello urgente per il futuro del gusto
Di fronte alla crescente concorrenza del fast food e della grande distribuzione, gli chef francesi non intendono restare in silenzio. Con questo appello, invitano le istituzioni a riconoscere il valore strategico della gastronomia per l’identità e l’economia del Paese. Salvare la cucina francese significa preservare un elemento essenziale della cultura nazionale.
