Alla luce degli eventi globali recenti, in particolare a partire dalla pandemia di COVID-19, si è assistito a un cambiamento significativo nel mondo del lavoro, con una crescente attenzione verso il benessere psicologico. In Italia, dove la cultura del posto fisso è ancora molto presente, oltre l’80% degli italiani ha preso in considerazione l’idea di lasciare il proprio impiego a causa dello stress, con la metà di loro che ha effettivamente fatto questa scelta almeno una volta. Questi dati emergono da un’indagine condotta da Unobravo su un campione di circa 1.700 persone, che ha esaminato il loro rapporto con il lavoro e il loro stato di salute mentale nel contesto professionale attuale.
La cultura della performance e il disagio emotivo
I risultati dell’indagine evidenziano un’emergenza silenziosa, rivelando come la cultura della performance possa generare ansia e un diffuso senso di inadeguatezza. La sensazione di non essere “mai abbastanza” è un’esperienza condivisa dalla maggior parte degli intervistati, con oltre il 66% che si sente inadeguato rispetto alle aspettative dei superiori e dei colleghi. Questa pressione si traduce in un forte senso di colpa: più dell’80% degli intervistati ammette di sentirsi in colpa per non aver lavorato più ore o per non aver raggiunto determinati obiettivi.
Il confine tra vita lavorativa e vita privata diventa sempre più sfumato, con oltre il 67% del campione che ha sacrificato il tempo per sé stesso, la famiglia e gli amici a favore del lavoro. La situazione è particolarmente complessa per i genitori, con quasi il 45% di loro che sente di non riuscire a dedicare abbastanza tempo ai propri figli a causa degli impegni professionali. Inoltre, le preoccupazioni legate al lavoro si manifestano anche a livello fisico, con oltre il 50% degli intervistati che riporta sintomi come tachicardia e mal di stomaco, e quasi la metà che non riesce a dormire bene a causa dello stress lavorativo.
La mancanza di supporto e il clima di insicurezza
Nonostante il malessere diffuso, la maggior parte delle persone non percepisce un adeguato sostegno nel proprio ambiente di lavoro. Circa il 75% degli intervistati ritiene che le aziende non valorizzino il benessere psicologico. Questa mancanza di supporto contribuisce a creare un clima di insicurezza psicologica, con il 66% degli intervistati che teme di essere penalizzato o licenziato nel caso in cui ammettesse un calo di produttività dovuto a stress o problemi mentali.
Il bisogno di ascolto e riconoscimento è ulteriormente confermato dalle risposte alla domanda su cosa cambierebbero nel mondo del lavoro in Italia. La richiesta di maggiori riconoscimenti e retribuzioni più giuste occupa il primo posto (quasi il 62%), seguita da una maggiore attenzione alla salute mentale e alla sicurezza psicologica (oltre il 50%).
Il lavoro da remoto e la flessibilità
Contrariamente ai dibattiti globali sul ritorno in ufficio, l’indagine ha rivelato che il lavoro da remoto o ibrido ha avuto un impatto positivo sulla vita di molti lavoratori. Infatti, il 58% degli intervistati ha affermato che questa modalità ha contribuito a ridurre lo stress legato alla performance. Questo dato suggerisce che una gestione adeguata della flessibilità lavorativa può rappresentare una leva significativa per migliorare il benessere dei dipendenti.
La Dottoressa Valeria Fiorenza Perris, Psicoterapeuta e Clinical Director di Unobravo, sottolinea l’importanza di riconoscere i segnali di disagio legati alla cultura della performance. “Quando la paura di non essere all’altezza diventa la norma, non si tratta solo di stress, ma di un profondo condizionamento della nostra percezione di noi stessi e dei risultati ottenuti. È fondamentale trovare un equilibrio che non significhi ridurre le aspettative, ma riconoscere il valore di sé al di fuori della mera produttività.”
La questione del benessere psicologico nel lavoro è quindi un tema cruciale, che richiede un’attenzione particolare da parte delle aziende e della società nel suo complesso.
 