Il negoziato che si svolge a Sharm El-Sheikh sul futuro della Striscia di Gaza ha assunto un’importanza crescente, coincidendo con il secondo anniversario del massacro del 7 ottobre, un evento che ha segnato profondamente la memoria collettiva israeliana. Le prime notizie provenienti dai mediatori, che includono rappresentanti palestinesi, segnalano un “clima positivo” nei colloqui indiretti con Israele, mirati a trovare un accordo sul piano proposto da Donald Trump. Secondo le fonti dei media israeliani, si prevede che un’intesa possa essere ratificata entro il fine settimana, permettendo il ritorno a casa degli ostaggi all’inizio della prossima settimana.
Il ruolo dei negoziatori di alto livello
Dopo i primi due round di discussioni tecniche, l’attenzione si sposta ora sull’arrivo di negoziatori di alto profilo, tra cui l’inviato statunitense Steve Witkoff, il premier del Qatar e il capo negoziatore israeliano Ron Dermer. Queste figure di spicco sono attese per intensificare i colloqui e facilitare una risoluzione. Donald Trump ha dichiarato che “Hamas ha accettato questioni molto significative” e ha notato un atteggiamento “positivo” da parte di Netanyahu. Un portavoce del ministero degli Esteri del Qatar ha confermato che “tutte le parti sono motivate a raggiungere un accordo”.
L’ufficio del premier israeliano ha confermato l’esistenza di “progressi”, evidenziando un certo livello di ottimismo, ma ha anche avvertito che è necessaria cautela, poiché la controparte potrebbe introdurre nuove complicazioni nei negoziati.
Le richieste di Hamas e le reazioni israeliane
Secondo quanto riportato, Hamas ha manifestato disponibilità a “consegnare le armi a un comitato egiziano-palestinese”, mentre ha respinto la proposta di un “comitato di transizione internazionale” guidato dall’ex premier britannico Tony Blair, figura controversa in molti Paesi arabi per il suo sostegno alla guerra in Iraq. Per quanto riguarda la gestione futura di Gaza, il movimento islamista sembra intenzionato a negoziare con l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), in un dialogo parallelo a quello con Israele.
In merito allo scambio di prigionieri, Hamas ha richiesto un cessate il fuoco preliminare per facilitare il recupero degli ostaggi, con la liberazione prevista entro una settimana. Tuttavia, rimane incerto se la fazione rinuncerà alla richiesta di liberare alcuni detenuti di alto profilo, come Marwan Barghouti, noto come il “Mandela palestinese”, la cui liberazione è considerata inaccettabile da Israele.
Il contesto delle trattative e le aspettative future
Hamas ha mantenuto fermo il proprio punto riguardo al ritiro delle forze di difesa israeliane (Idf) dalla Striscia, con fonti egiziane che hanno comunicato che il ritiro dovrà essere “completo” dopo il rilascio degli ostaggi. Dall’altra parte, Israele prevede un ritiro graduale, mantenendo una presenza militare in alcune aree cuscinetto.
Le discussioni riprenderanno domani a Sharm El-Sheikh, dove i mediatori egiziani e qatarioti, guidati dal premier Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim al-Thani, saranno affiancati da una delegazione turca guidata dal capo dei servizi segreti Ibrahim Kalin. Per gli Stati Uniti, ci saranno Witkoff e Jared Kushner, genero del presidente, noto per le sue relazioni nella regione.
Durante un incontro con il premier canadese Mark Carney a Washington, Trump ha nuovamente sottolineato l’esistenza di una “reale possibilità di pace”, promettendo che, una volta raggiunto un accordo, gli Stati Uniti faranno il possibile affinché venga rispettato.
In serata, sono giunti segnali incoraggianti da Israele: una fonte informata sulle trattative ha rivelato a Channel 12 che le autorità israeliane si stanno preparando per il rilascio degli ostaggi all’inizio della prossima settimana. Witkoff e Kushner sono attesi per un breve soggiorno di due o tre giorni, con la speranza che la firma dell’accordo avvenga nel fine settimana, a meno di imprevisti. La fonte ha aggiunto che Israele richiederà il rilascio di tutti gli ostaggi vivi entro un giorno, seguita da eventuali resti. Se le parti non dovessero trovare un accordo, gli Stati Uniti potrebbero proporre un compromesso finale, adottando un approccio di tipo “prendere o lasciare”.