Medioriente: crisi in Cisgiordania e conflitto con l’Iran, il piano di Israele dopo due anni di tensioni

Marianna Perrone

Ottobre 7, 2025

Due anni di conflitto hanno profondamente trasformato il Medioriente, senza però modificare gli obiettivi strategici di Israele. La reazione sproporzionata alla umiliazione subita il 7 ottobre 2023 da parte di Hamas ha danneggiato la reputazione dello Stato ebraico a livello globale, che non è riuscito a prevalere militarmente contro i suoi avversari. Non solo i combattenti della Striscia di Gaza, ma anche Hezbollah, Houthi e l’Iran continuano a rappresentare una minaccia crescente. Gli obiettivi di Israele rimangono chiari e distinti:

  • Espandere la propria profondità difensiva conquistando Gaza e la Cisgiordania;
  • Proseguire la normalizzazione diplomatica con le monarchie arabe, come previsto dagli Accordi di Abramo.

Questi scopi sono ancora alla portata di Israele, il quale potrebbe ottenere una vittoria strategica nonostante i numerosi fallimenti sul campo. La chiave per il successo risiede in un piano ben definito, che va oltre le proposte vaghe, come il programma in 20 punti suggerito da Donald Trump. La prima mossa di Israele prevede di stringere la morsa attorno alla Cisgiordania, mentre il passo successivo si concentrerà sull’Iran, con l’intenzione di attaccare con maggiore intensità rispetto ai raid di giugno sui siti nucleari.

Il piano di Israele per la Cisgiordania

Israele ha da tempo avviato una politica di insediamento in Cisgiordania, inviando coloni armati supportati da militari. Queste azioni mirano a costringere i palestinesi a lasciare i propri territori attraverso violenze, boicottaggi e occupazioni. Tra le strategie adottate, emerge anche la promozione di un collasso economico, aggravando la già alta disoccupazione nella West Bank, che ha superato il 30% secondo i dati di settembre 2024, il secondo livello più alto mai registrato. Prima dell’inizio del conflitto, nel settembre 2023, il tasso di disoccupazione era del 12,9%. Dopo il 7 ottobre 2023, centinaia di migliaia di palestinesi hanno perso i permessi di lavoro e di movimento in Israele, con solo 8.000 dei 115.000 abitanti “bloccati” che hanno riottenuto i visti. L’economista palestinese Naser Abdelkarim ha evidenziato che il tasso di povertà in West Bank è raddoppiato, con un terzo delle famiglie attualmente in difficoltà economica.

La guerra economica di Israele

Israele ha intensificato le restrizioni economiche già prima dell’inizio delle ostilità, utilizzando il trattenimento delle entrate fiscali palestinesi come strumento di pressione. Le paghe dei palestinesi che lavorano in Israele rappresentavano una fonte cruciale di liquidità per la Cisgiordania. Dal 2019, Israele ha trattenuto circa 2,3 miliardi di dollari di entrate fiscali destinate all’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), che gestisce la Cisgiordania. Dopo il 7 ottobre 2023, il governo Netanyahu ha deciso di trattenere ulteriori fondi, sostenendo che potessero finire nelle mani di Hamas, che controlla Gaza, mentre l’Anp gestisce gli stipendi dei dipendenti pubblici nei settori sociali, sanitari e educativi.

È in arrivo un’altra guerra diretta tra Israele e Iran?

Nel contesto del conflitto con Hamas, si delinea una grande contesa tra Israele e Iran. Dopo gli attacchi di aprile e bombardamenti non letali di giugno, entrambi i Paesi stanno rivedendo le proprie strategie, suggerendo che la violenza potrebbe intensificarsi. Teheran sta preparando un attacco più deciso in caso di un nuovo scontro, nonostante le notevoli difficoltà interne. Le Guardie della Rivoluzione hanno migliorato la loro capacità missilistica in previsione di un conflitto prolungato. Se gli Stati Uniti dovessero intervenire nuovamente a favore di Tel Aviv, le conseguenze potrebbero essere devastanti. Il programma nucleare iraniano rimane attivo e il livello di avanzamento della corsa persiana alla bomba atomica resta incerto.

La strategia israeliana tra Usa e Iran

La guerra dei 12 giorni non si è limitata al programma nucleare iraniano, ma ha avuto come obiettivo principale il spostamento dell’equilibrio di potere in Medioriente. Per oltre vent’anni, Israele ha sollecitato gli Stati Uniti a intraprendere azioni militari contro Teheran per indebolirlo e affermarsi come potenza regionale. Tuttavia, Israele non può raggiungere questo equilibrio da solo. Gli attacchi avevano tre obiettivi principali, oltre a indebolire l’infrastruttura nucleare iraniana:

  • Coinvolgere gli Stati Uniti in un conflitto diretto con l’Iran;
  • Decapitare i vertici della Repubblica Islamica, favorendo un cambio di regime;
  • Trasformare l’Iran nella “prossima Siria” o “prossimo Libano”, ovvero in un Paese bombardabile senza il coinvolgimento degli Stati Uniti.

Quali sviluppi futuri?

Israele ha raggiunto solo uno dei tre obiettivi prefissati, senza eliminare il programma nucleare iraniano. La riluttanza degli Stati Uniti a impegnarsi oltre bombardamenti limitati ha spinto Israele a negoziare una tregua. Nel frattempo, le difese aeree israeliane hanno mostrato segni di usura, mentre l’Iran ha migliorato la propria capacità di attacco. L’idea di fomentare una rivolta popolare in Iran non ha avuto successo, anzi ha rafforzato la coesione interna. Con Iran che ricostituisce le proprie risorse militari, il tempo per Israele è un fattore critico. Le dinamiche politiche attorno a un nuovo attacco diventeranno più complesse con l’avvicinarsi delle elezioni di Midterm negli Stati Uniti, rendendo un’escalation probabile nei prossimi mesi. L’esito della prossima offensiva dipenderà dalla capacità di Israele di rifornire le proprie difese aeree più rapidamente di quanto l’Iran possa ricostruire le sue batterie missilistiche.

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