Israele può fermare la flottiglia in acque internazionali? Analisi del diritto internazionale

Marianna Perrone

Ottobre 2, 2025

L’intercettazione della Global Sumud Flotilla da parte di Israele ha avuto luogo in acque internazionali, dove si applica un principio fondamentale del diritto marittimo: la libertà dei mari. A partire dal 2025, oltre le 12 miglia nautiche dalla costa, corrispondenti a circa 22 chilometri, ogni nave è soggetta unicamente alla sovranità dello Stato di cui batte bandiera. Di conseguenza, nessun altro Stato può esercitare controlli a bordo o intervenire, eccetto in situazioni eccezionali previste dal diritto internazionale.

Le eccezioni previste dal diritto del mare

Il diritto internazionale consente a uno Stato di intervenire su navi straniere in acque internazionali solo in circostanze estremamente gravi, come il sospetto di pirateria, tratta di esseri umani o traffico di sostanze stupefacenti. L’azione intrapresa per fermare una missione umanitaria, come quella della Flottiglia diretta a Gaza, non rientra in queste eccezioni. Esperti di diritto internazionale hanno affermato che l’intervento delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) ha violato le norme che regolano la navigazione in alto mare, sottolineando che tali azioni non sono giustificabili.

Il blocco navale e i limiti umanitari

Israele giustifica il proprio intervento facendo riferimento al blocco navale imposto sulle acque di Gaza dal 2009. Tuttavia, le regole che disciplinano il blocco navale, come stabilito nel Manuale di Sanremo del 1994 sui conflitti in mare, prevedono un limite cruciale: non è lecito impedire il transito di beni di prima necessità se la popolazione civile è priva di cibo o mezzi di sussistenza. La grave carenza di aiuti umanitari a Gaza rende il blocco fortemente contestato dalla comunità internazionale, che chiede un riesame delle pratiche attuate.

Lo status giuridico delle acque di Gaza

La legittimità dell’intervento israeliano è ulteriormente compromessa dalla complessa situazione territoriale. È difficile sostenere che le acque di Gaza siano acque territoriali israeliane, considerando lo status di Israele come potenza occupante. La Corte Internazionale di Giustizia ha ripetutamente affermato che qualsiasi intervento da parte di un occupante è illegittimo. Anche nelle acque territoriali, fino a 12 miglia dalla costa, le navi civili hanno il diritto di passaggio inoffensivo, a patto che non rappresentino un pericolo per la sicurezza. Gli Accordi di Oslo stabilivano che le acque di fronte a Gaza fossero affidate all’Autorità Nazionale Palestinese, con la sicurezza esterna gestita da Israele.

Le zone del blocco navale: dalla proibizione totale all’accesso limitato

La mappa del blocco navale israeliano davanti a Gaza rivela una struttura a zone concentriche che limita progressivamente l’accesso alle acque. Secondo gli Accordi di Oslo del 1994, la zona si estende fino a 20 miglia nautiche dalla costa. L’area completamente proibita si trova nella fascia più esterna, mentre avvicinandosi alla costa si incontrano zone con restrizioni decrescenti: 15 miglia nautiche, 12 miglia (limite delle acque territoriali), 6 miglia e 3 miglia nautiche. Esiste, infatti, un’area accessibile in modo discontinuo, che evidenzia come il blocco non sia uniforme, variando a seconda delle zone e dei periodi. Questa configurazione, documentata dall’Ocha (l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari) nella mappa del 2023, mostra come il blocco si estenda ben oltre le acque territoriali teoriche, coinvolgendo ampie porzioni di mare internazionale.

I precedenti: il caso della Mavi Marmara

Il precedente più noto dell’intervento israeliano contro flottiglie umanitarie risale al 2010, quando l’IDF intercettò imbarcazioni turche, causando la morte di 10 attivisti. Una commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite ha accertato le responsabilità israeliane e la violazione del diritto internazionale, ribadendo che i civili che non partecipano alle ostilità hanno diritto di protezione anche in zone di guerra. Anche in quel caso, le accuse israeliane sulla presenza di elementi legati a organizzazioni terroristiche non furono suffragate da prove concrete.

Le accuse senza prove

Israele afferma che a bordo di alcune imbarcazioni della Global Sumud Flotilla ci siano persone vicine a Hamas. Tuttavia, esperti di diritto internazionale evidenziano che “ci vorrebbero delle prove, non basta sostenerlo”. La semplice affermazione non giustifica la violazione del diritto internazionale. La presenza di parlamentari a bordo, pur non cambiando la situazione giuridica, sottolinea la natura pacifica e trasparente della missione umanitaria.

Il ritiro delle navi italiane e spagnole

Le navi della Marina italiana e della Marina spagnola che inizialmente scortavano la flottiglia hanno deciso di fermarsi prima di entrare nella zona critica. Questa scelta è stata probabilmente motivata da ragioni politiche e di sicurezza: la presenza di navi militari di altri Stati entro le 120 miglia dalla costa avrebbe aumentato significativamente il rischio di un incidente diplomatico o militare, potenzialmente trasformandosi in un casus belli.

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