La mappa intitolata “La maledizione” è stata recentemente presentata dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dove ha evidenziato la crescente minaccia rappresentata dalla rete terroristico-militare costruita dall’Iran attorno a Israele. La mappa, che evidenzia in rosso i paesi considerati nemici, tra cui Iraq, Siria, Yemen e la Striscia di Gaza, trasmette un messaggio di potenziale “vittoria totale” per Israele, in particolare alla luce delle operazioni militari in corso contro i palestinesi, inclusa la Cisgiordania. Inoltre, è stata menzionata l’uscita del regime di Assad da Damasco come parte di questa narrativa. Tuttavia, dietro questa retorica si cela un piano strategico più ampio, il progetto del Grande Israele, che mira a ridefinire i confini e le influenze della nazione.
I pilastri della strategia israeliana
L’intervento di Netanyahu ha messo in luce i due principali obiettivi strategici di Israele. Il primo consiste nel riavviare la normalizzazione con le monarchie arabe del Golfo, mentre il secondo si concentra sull’aumento della profondità difensiva contro i nemici circostanti. Questi principi sono fondamentali per comprendere le affermazioni del premier, come quella in cui sostiene che sarebbe “folle uno Stato palestinese a un chilometro da Gerusalemme“. La preoccupazione esistenziale per la minaccia rappresentata dalla rete iraniana, composta da gruppi come Hamas, Hezbollah e Houthi, riflette un approccio difensivo volto a garantire la sicurezza dello Stato ebraico.
Il progetto del Grande Israele
Il progetto del Grande Israele è spesso riassunto con l’espressione “dal fiume al mare”, che implica il controllo di territori che si estendono dalla costa mediterranea alla Valle del Giordano. Questo obiettivo include la conquista di Gaza, Cisgiordania e porzioni di Libano, Siria e Giordania. Tale visione si radica nel millenarismo presente nella narrativa israeliana e va oltre i confini tracciati dai testi religiosi, estendendosi fino all’Iraq e alla totalità della Siria. L’idea è quella di creare una fascia di territorio che funzioni da cuscinetto, permettendo a Israele di combattere le guerre lontano dal proprio territorio e mantenere la minaccia lontana dal cuore della nazione. Questo progetto ambizioso mira a trasformare l’intera regione araba in una zona di influenza israeliana, come confermato anche dall’emiro del Qatar, in seguito agli attacchi subiti da Israele il 9 settembre 2023.
Israele e la reazione agli eventi del 7 ottobre 2023
La reazione sproporzionata di Israele agli eventi del 7 ottobre 2023 ha suscitato ampie discussioni. Un aspetto spesso trascurato è l’opportunità percepita da Israele di agire in un contesto di crescente debolezza e stanchezza degli Stati Uniti, che si stanno disimpegnando da conflitti globali. Il governo Netanyahu ha ignorato le richieste di de-escalation provenienti da Washington, consapevole delle divisioni interne all’amministrazione americana. Mentre il Pentagono continua a sostenere Israele, altri settori dell’amministrazione, come il Dipartimento di Stato, si mostrano più cauti. Questa situazione è ulteriormente complicata da tensioni interne negli Stati Uniti, evidenziate dall’uccisione di Charlie Kirk, un esponente della nuova destra.
Il ruolo di Israele come potenza del Medioriente
In qualità di alleato strategico degli Stati Uniti, Israele si impegna a mantenere la propria posizione di potenza nel Medioriente, impedendo a qualsiasi nazione o collettività di affermarsi come egemone nella regione. Questa strategia si allinea con le dinamiche globali, in cui Israele deve essere percepito come la principale potenza del Medioriente. La reputazione di Israele è stata messa a dura prova dal maxi attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e dalle conseguenti stragi di civili nella Striscia di Gaza. Gli Accordi di Abramo sono fondamentali per mantenere l’influenza israeliana nella regione. In un contesto di crescente instabilità globale, il governo Netanyahu si trova a dover affrontare sfide significative per la propria credibilità e sicurezza.
La prospettiva di una “Nato araba”
Un’ulteriore fonte di preoccupazione per i dirigenti israeliani è rappresentata dall’idea di una “Nato araba”, proposta di recente dall’Egitto e sostenuta anche dall’Arabia Saudita. Tuttavia, la realizzazione di questa alleanza è ostacolata da profonde divergenze tra i vari paesi arabi, che richiederebbero un leader super partes per garantire la sicurezza collettiva. Mentre gli Stati Uniti potrebbero aspirare a un ruolo di guida, la loro attuale stanchezza limita questa possibilità . Israele, da parte sua, desidererebbe assumere il comando della sicurezza, ma ciò comporterebbe la responsabilità militare esclusiva, una prospettiva poco realistica e potenzialmente conflittuale. Le tensioni generate da queste dinamiche continueranno a influenzare il panorama geopolitico della regione nei prossimi mesi.