Condanna per un 46enne a Roma per minacce a Conte durante il lockdown

Marianna Perrone

Settembre 22, 2025

Il tribunale monocratico di Roma ha emesso una sentenza significativa il 22 settembre 2025, riconoscendo la seminfermità mentale di un uomo di 46 anni, originario dell’Umbria, accusato di aver inviato messaggi di minaccia all’allora Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante il primo lockdown per il Covid-19. La pena inflitta è di sette mesi di reclusione, ma il giudice ha disposto la libertà vigilata per un anno, tenendo conto delle circostanze attenuanti.

Il caso ha attirato l’attenzione non solo per la gravità delle accuse, ma anche per il contenuto delle comunicazioni inviate dall’imputato. Tra marzo e aprile del 2020, l’uomo ha tempestato la mail della Presidenza del Consiglio con decine di messaggi, caratterizzati da un linguaggio fortemente ingiurioso e minatorio. La perizia psichiatrica ha giocato un ruolo cruciale nel determinare la seminfermità mentale, portando il giudice a considerare le condizioni psicologiche dell’imputato nel decidere la pena.

Dettagli del processo e delle accuse

Il processo ha messo in evidenza la gravità delle minacce formulate dall’imputato, che ha utilizzato un linguaggio violento e provocatorio nei confronti di un rappresentante delle istituzioni. Le mail, presentate come prove nel corso del dibattimento, hanno rivelato un comportamento preoccupante, suscitando l’attenzione della magistratura. Gli avvocati difensori, Luisa Giampietro e Antonio Poerio, hanno sottolineato l’importanza della perizia psichiatrica, sostenendo che le condizioni mentali del loro assistito giustificano una revisione della sentenza.

In base alla legge italiana, le minacce a un corpo politico dello Stato sono considerate un reato grave, che può comportare pene severe. Tuttavia, il riconoscimento della seminfermità mentale ha permesso al giudice di applicare una pena più lieve, optando per la libertà vigilata invece della detenzione in carcere. Questa decisione ha sollevato interrogativi sulla gestione di casi simili, in cui la salute mentale dell’imputato può influenzare le sentenze.

Le reazioni e i prossimi passi

La sentenza ha suscitato reazioni contrastanti tra il pubblico e gli esperti legali. Mentre alcuni applaudono la decisione del giudice di tenere conto delle condizioni mentali dell’imputato, altri esprimono preoccupazione per il messaggio che potrebbe inviare riguardo alla gravità delle minacce rivolte a figure pubbliche. Gli avvocati difensori hanno già annunciato l’intenzione di ricorrere in appello, contestando sia la condanna che la misura della libertà vigilata.

Il caso rimane emblematico in un periodo in cui la salute mentale è al centro del dibattito pubblico, soprattutto in relazione a comportamenti devianti. La sentenza potrebbe avere ripercussioni su futuri procedimenti legali simili, influenzando il modo in cui i tribunali affrontano le questioni di seminfermità mentale in contesti di reati contro lo Stato.

L’attenzione ora si sposta sull’appello e su come la Corte d’Appello di Roma valuterà le argomentazioni presentate dai legali dell’imputato, in un contesto giuridico sempre più attento alle condizioni psicologiche degli individui coinvolti in procedimenti penali.

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