La sorprendente vicenda della cessione dell’Alaska dalla Russia agli Stati Uniti

Egidio Luigi

Agosto 15, 2025

Esiste un doppio legame tra un dolce tipico e un evento storico significativo. Questo dessert, noto come “baked Alaska” negli Stati Uniti e comunemente chiamato omelette norvegese in Italia, ha origini che risalgono all’acquisizione dell’Alaska. Questa transazione, avvenuta non attraverso una conquista militare, ma tramite una compravendita formale, sottolinea un capitolo importante della storia americana. Infatti, l’acquisto dell’Alaska dalla Russia risale al 1867, un periodo in cui gli Stati Uniti si trovavano ancora in fase di espansione e consolidamento. Oggi, nel 2025, i leader delle due nazioni, Donald Trump e Vladimir Putin, si trovano a discutere questioni completamente diverse, ma il tavolo delle trattative ricorda quel primo storico accordo.

Il contesto storico dell’acquisizione dell’alaska

L’esplorazione russa del Pacifico settentrionale, che include l’Alaska, iniziò nel Seicento. Nel 1741, l’esploratore danese Vitus Bering, al servizio della Russia, raggiunse le coste nordamericane, dando il nome allo Stretto che divide i due continenti. Con la fondazione della Compagnia Russo-Americana nel 1799, lo zar conferì alla società il monopolio commerciale sull’area, mantenendo il controllo per 68 anni. Durante questo periodo, la compagnia stabilì un avamposto commerciale a Fort Ross, situato appena a nord di San Francisco. Tuttavia, l’Alaska non era solo un affare russo; anche gli inglesi avevano interessi nella regione, firmando un trattato nel 1824. Nonostante la presenza russa, la forza lavoro era composta principalmente da nativi e creoli, con meno di mille russi residenti. Le tensioni politiche e le guerre di metà secolo complicarono la situazione, rendendo difficile mantenere il controllo sulla colonia.

Le ragioni dietro la vendita dell’alaska

Nel contesto della vendita dell’Alaska, la Russia non percepiva gli Stati Uniti come una minaccia. A quel tempo, gli Stati Uniti non avevano ancora raggiunto una potenza globale. La Russia, invece, si trovava ad affrontare sfide più pressanti in Europa, avendo recentemente perso la guerra di Crimea. La decisione di vendere l’Alaska fu influenzata da molteplici fattori: la necessità di ridurre i costi, la difficoltà di mantenere il controllo su un territorio lontano e le preoccupazioni riguardanti i diritti dei nativi. La Compagnia Russo-Americana si trovava sotto accusa per maltrattamenti e violazioni dei diritti civili, rendendo la situazione insostenibile. La Russia decise così che cedere l’Alaska agli Stati Uniti fosse una soluzione più vantaggiosa rispetto a tentare di difenderla da possibili occupazioni britanniche o da commercianti americani.

Il costo dell’alaska e il trattato di acquisto

Il prezzo per l’acquisto dell’Alaska fu fissato a 7,2 milioni di dollari, una cifra che corrispondeva a circa 4 centesimi per ettaro. Il trattato, firmato il 30 marzo 1867, vide il coinvolgimento di due figure chiave: il Segretario di Stato statunitense William H. Seward e il diplomatico russo Eduard de Stoeckl. Dopo trattative, le parti si accordarono su un prezzo intermedio, stabilendo che l’acquisto fosse privo di riserve o diritti da parte di società russe. Solo anni dopo, l’acquisto dell’Alaska, noto come “il dono di Seward”, venne riconosciuto come una mossa strategica che permise agli Stati Uniti di affermarsi come potenza sia nel Pacifico che nell’Atlantico, aprendo la strada a future rotte commerciali.

La cerimonia di trasferimento e le reazioni

Il trasferimento ufficiale dell’Alaska non fu privo di controversie. Il quotidiano New York World espresse il malcontento dei cittadini statunitensi, descrivendo l’acquisto come “un’arancia succhiata”. Il presidente Andrew Johnson firmò il trattato il 28 maggio 1867, e il 18 ottobre dello stesso anno, la cerimonia di trasferimento si svolse a Sitka. Durante l’evento, un’imprevista difficoltà si presentò quando l’effigie dell’aquila imperiale russa si impigliò nel pennone, creando un momento di tensione e imbarazzo. Nonostante gli inconvenienti, il figlio del generale Rousseau issò la bandiera americana, segnando un cambiamento significativo nella storia dell’Alaska.

Le conseguenze post-vendita

Dopo la vendita, l’Alaska rimase sotto il controllo dell’esercito statunitense fino al 1877, per poi essere gestita da diverse autorità. La maggior parte dei russi presenti in Alaska non erano residenti permanenti e tornarono in patria. Coloro che rimasero poterono richiedere la cittadinanza statunitense entro tre anni. Nel 1884, l’Alaska divenne un distretto e, solo nel 1959, fu accettata nell’Unione come 49° Stato. Questo lungo processo di integrazione evidenzia le complessità politiche e sociali che hanno caratterizzato la storia dell’Alaska.

Le tensioni attuali tra mosca e washington

Nel 2014, durante una conferenza, il presidente russo Vladimir Putin rispose a una domanda riguardo al possibile ritorno dell’Alaska alla Russia con una battuta. Questo episodio riflette un sentimento irredentista che ha riacquistato forza in Russia nel corso degli anni, specialmente in relazione all’ordine mondiale dominato dagli Stati Uniti. La questione dell’Alaska è stata oggetto di discussione da parte di funzionari russi, che hanno insinuato che il territorio fosse stato “affittato” per un secolo. Tuttavia, la documentazione storica dell’acquisto rimane inconfutabile. La vendita dell’Alaska ha, in effetti, ridotto il potenziale di conflitto tra le due nazioni, poiché ha segnato un punto di incontro tra le espansioni russe e statunitensi.

×