“Non desidero prolungare il conflitto, ma porre fine alla guerra. Israele deve completare l’operazione e distruggere Hamas.” In un contesto di crescenti critiche sia a livello internazionale che all’interno del suo stesso governo, il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha indetto due conferenze stampa il 28 gennaio 2025, una per la stampa internazionale e una per i media locali, per illustrare la nuova offensiva militare che punta a occupare Gaza City, considerata da Netanyahu “capitale del terrore”.
Durante l’incontro, Netanyahu ha cercato di difendersi dalle accuse di infliggere sofferenze alla popolazione civile di Gaza, esortando la comunità internazionale a “aprire gli occhi sulle menzogne di Hamas“. Le sue parole sono state accompagnate da un cartello che riportava la stessa frase, posizionato dietro di lui nei suoi uffici a Gerusalemme. La risposta di Hamas non si è fatta attendere: “Tutte le affermazioni di Netanyahu sono bugie”, hanno replicato i rappresentanti della fazione palestinese.
Discussione al consiglio di sicurezza delle nazioni unite
Nel frattempo, il 28 gennaio 2025, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si è riunito a New York per analizzare il piano israeliano, definito da alcuni membri del Palazzo di Vetro “l’ennesima pericolosa escalation” che potrebbe aggravare una catastrofe umanitaria di proporzioni inimmaginabili. Nonostante le pressioni internazionali, Netanyahu ha mantenuto fermo il suo punto di vista: “L’obiettivo non è occupare Gaza, ma liberarla da Hamas“, ha affermato, sottolineando che l’esercito israeliano ha ricevuto l’ordine di smantellare le ultime roccaforti del gruppo terroristico, concentrandosi su Gaza City e nei campi centrali della Striscia, inclusa la zona umanitaria di Mawasi. Il premier ha promesso che il piano sarà attuato “in tempi brevi”, con la priorità di garantire la sicurezza dei civili, che potranno lasciare le aree di combattimento per raggiungere zone sicure, dove riceveranno cibo, acqua e assistenza medica. Ha anche annunciato l’apertura di nuovi corridoi sicuri e di centri di distribuzione per gli aiuti della Gaza Humanitarian Foundation, un’organizzazione controversa già al centro di critiche.
Accuse reciproche e distribuzione degli aiuti
Netanyahu ha respinto le accuse di voler affamare la popolazione palestinese, affermando che “la nostra strategia è stata quella di prevenire una crisi umanitaria, mentre Hamas ha cercato di crearne una, saccheggiando le risorse alimentari”. Secondo il primo ministro, dall’inizio del conflitto, Israele ha distribuito “2 milioni di tonnellate di aiuti”, accusando l’Onu di non aver facilitato la consegna e i media internazionali di aver creduto ciecamente alla propaganda di Hamas. Netanyahu ha menzionato la possibilità di intraprendere azioni legali contro il New York Times per aver pubblicato la foto di un bambino di Gaza malato, sostenendo che fosse stato denutrito a causa del blocco degli aiuti da parte di Israele. Ha anche mostrato una foto di un ostaggio, Evyatar David, che appariva notevolmente dimagrito e rinchiuso in un tunnel di Hamas, sottolineando che “gli unici che stanno morendo di fame sono i nostri ostaggi”.
Proteste in israele e reazioni alla nuova offensiva
Il nuovo piano militare, secondo Netanyahu, rappresenta “la via più rapida per porre fine alla guerra”. Dopo l’operazione, Gaza sarà amministrata “da un ente civile pacifico e non israeliano”, escludendo sia Hamas che l’Autorità Nazionale Palestinese. Riguardo alla decisione della Germania di sospendere l’invio di armi a Israele, Netanyahu ha dichiarato che il cancelliere Friedrich Merz “è un amico, ma ha ceduto alle pressioni” di vari gruppi e alle fake news. Il primo ministro ha espresso fiducia nel fatto che Israele “vincerà la guerra con o senza il sostegno internazionale”. Tuttavia, decine di migliaia di israeliani si sono opposti all’operazione, manifestando a Tel Aviv e Gerusalemme. I familiari degli ostaggi, preoccupati per la sicurezza dei loro cari, hanno indetto uno sciopero generale per il 4 febbraio 2025, con l’intento di fermare il Paese e chiedere “Basta guerra”.