Martina Oppelli, una donna di 50 anni di Trieste, è deceduta questa mattina in Svizzera, dove ha potuto accedere al suicidio medicalmente assistito. La notizia è stata diffusa dall’associazione Luca Coscioni. Il 4 giugno, la donna aveva ricevuto il terzo rifiuto da parte dell’Azienda sanitaria universitaria giuliano-isontina riguardo alla verifica delle condizioni necessarie per poter accedere al suicidio assistito. A supportarla nel viaggio in Svizzera sono stati Claudio Stellari e Matteo D’Angelo, membri di Soccorso Civile, un’associazione che si occupa di disobbedienza civile in materia di fine vita, rappresentata legalmente da Marco Cappato. Prima di morire, Oppelli ha lanciato un appello: “Il mio appello per una legge in Italia è finito nel nulla”.
Le ragioni del diniego per il suicidio assistito in Italia
Secondo quanto comunicato dall’associazione Luca Coscioni, l’Azienda sanitaria locale ha motivato il diniego affermando che Oppelli non era sottoposta a trattamenti di sostegno vitale, nonostante fosse completamente dipendente dall’assistenza continua di caregiver e da dispositivi medici come farmaci, cateteri e macchine per la tosse. Per questo, il 19 giugno, assistita dal team legale coordinato da Filomena Gallo, avvocata e segretaria nazionale di Luca Coscioni, la donna ha presentato un’opposizione al rifiuto, accompagnata da una diffida nei confronti dell’azienda sanitaria. La situazione ha sollevato interrogativi sulla valutazione delle condizioni di salute e sull’accesso al suicidio assistito in Italia, dove le normative attuali sembrano limitare fortemente le possibilità per i pazienti affetti da malattie gravi.
La scelta di Martina: “Era impossibile attendere altro tempo”
Dopo la diffida, è stata avviata una nuova procedura di valutazione da parte della commissione medica. Tuttavia, l’associazione ha spiegato che Martina Oppelli ha deciso di recarsi in Svizzera per ricevere assistenza nella morte volontaria, poiché non poteva permettersi di attendere ulteriormente una risposta, data l’intollerabilità delle sue sofferenze. Al suo fianco, altre 31 persone hanno offerto supporto logistico e finanziario, i cui nomi verranno resi noti in seguito. Questa scelta ha evidenziato le difficoltà che molti pazienti affrontano nel tentativo di ottenere un fine vita dignitoso, sottolineando la necessità di riforme legislative in materia di eutanasia e suicidio assistito.
Le ultime parole di Martina: “Nel vuoto il mio appello per una legge in Italia”
“Gentili parlamentari e concittadini, non so se vi ricordate di me, sono Martina Oppelli.” Queste sono state le ultime parole pronunciate dalla donna e registrate in un video prima della sua morte. In esso, ha ribadito il suo appello affinché venga promulgata una legge che regoli il fine vita, esprimendo il desiderio di garantire a tutti, malati e anziani, un termine dignitoso della propria vita. “Questo appello è finito nel vuoto. Ogni dolore è assoluto e va rispettato, fate una legge sensata”, ha esortato, evidenziando la necessità di una risposta legislativa tempestiva e adeguata.
La frustrazione per i dinieghi: “Non ho tempo per aspettare un quarto diniego”
Martina ha raccontato di aver fatto ricorso alla sentenza Cappato due anni fa per poter accedere al suicidio assistito, ma il suo diritto è stato negato per tre volte. “Io non ho tempo per aspettare un quarto diniego”, ha affermato, sottolineando la sua condizione di stremo e la necessità di agire. “Sono in Svizzera, sì, forse una fuga direte voi, no, è un ultimo viaggio.” Queste parole evidenziano la disperazione di chi si trova in situazioni estreme e la ricerca di un modo per porre fine alla propria sofferenza in modo dignitoso.
Un appello alla politica: “Fate una legge sensata”
Martina ha concluso il suo messaggio con un forte richiamo alla politica, esortando a creare una legge che tenga conto di ogni forma di dolore e che non faccia attendere anni per una decisione. Ha descritto il suo stato di salute, evidenziando come il suo corpo si sia deteriorato nel tempo e come la sua forza stia venendo meno. “Adesso desidero morire dignitosamente”, ha affermato, chiedendo di mettere da parte le divisioni politiche e di affrontare la questione del fine vita con umanità e responsabilità . La sua testimonianza rimane un forte stimolo per il dibattito pubblico e per la necessità di un cambiamento normativo in Italia.