L’Everest attira migliaia di turisti ogni anno, ma i rifiuti abbandonati mettono a rischio il fragile ecosistema. Tra regolamenti più severi e soluzioni sostenibili, la montagna cerca un nuovo equilibrio.
Ogni anno 150.000 visitatori si spingono fino al Parco Nazionale Sagarmatha, in Nepal, per ammirare o tentare la scalata dell’Everest. Ma il fascino della montagna più alta del pianeta ha un prezzo: tonnellate di rifiuti lasciati lungo i sentieri e nei pressi dei campi base, compresi rifiuti organici e feci umane. Mentre la vetta resta simbolo di impresa e superamento personale, le sue pendici stanno diventando teatro di un lento ma costante collasso ambientale. Il problema non riguarda più soltanto lattine o tende abbandonate: si tratta di una valanga invisibile di materiali inquinanti che minaccia l’ecosistema alpino e la salute dei ghiacciai.
Il geologo Alton Byers, dell’Università del Colorado, precisa che il degrado maggiore non si verifica sulla vetta, ma nei villaggi e negli accampamenti che costeggiano l’Everest. Le discariche a cielo aperto, spesso adiacenti a zone turistiche, aggravano l’impatto di una pressione antropica in continua crescita. Da quando Edmund Hillary e Tenzing Norgay raggiunsero la cima nel 1953, l’Everest è diventato la prima destinazione mondiale per il turismo d’avventura. Ma ciò che prima era il sogno di pochi è oggi un flusso inarrestabile. E tra bombole esaurite e resti di accampamenti abbandonati, il paesaggio rischia di cambiare volto.
Le nuove regole e le tecnologie per salvare la montagna
Per contrastare questa deriva, il governo nepalese ha introdotto nel tempo una serie di misure stringenti. Dal 2014, ogni scalatore è obbligato a riportare a valle almeno 8 kg di rifiuti, pena la perdita di un deposito cauzionale di 4.000 dollari. Da gennaio 2025, inoltre, chi desidera affrontare un “ottomila” deve dimostrare di aver già scalato vette oltre i 7.000 metri, presentare certificati medici, assicurazioni, e assumere guide locali. Il trasporto delle deiezioni umane è ora vincolato all’uso di sacchetti biodegradabili anti-odore, distribuiti obbligatoriamente a ogni spedizione.
Nel frattempo, alcune iniziative locali cercano di trasformare la crisi in opportunità. Il progetto Mount Everest Biogas, ad esempio, ha sviluppato un sistema di digestione anaerobica per i rifiuti organici a Gorak Shep, villaggio situato a oltre 5.100 metri di quota. Il metodo consente di produrre metano e acque reflue a bassa tossicità, riducendo l’impatto degli scarti biologici sull’ambiente.

Un altro progetto, Sagarmatha Next, punta sul recupero creativo: plastica e metallo raccolti nella zona vengono trasformati in opere d’arte e installazioni, promuovendo allo stesso tempo educazione ambientale e coinvolgimento delle comunità locali. Il progetto prevede anche la realizzazione a Namche Bazaar di un centro di riciclaggio e arte, che fungerà da polo educativo per turisti e residenti.
Le autorità e gli attivisti, però, devono affrontare problemi logistici e resistenze culturali. La tracciabilità dei rifiuti, ad esempio, resta incerta. Alcuni scalatori non rispettano le regole, e i controlli sul campo risultano difficili da attuare in zone impervie e affollate. Anche il tempo di decomposizione dei materiali a quelle altitudini è estremamente lento: ciò che viene abbandonato può restare visibile per decenni.
Un’economia che arricchisce il Nepal ma pesa sull’ambiente
L’Everest rappresenta una delle maggiori fonti di reddito per il Nepal. Solo i permessi di scalata fruttano ogni anno centinaia di milioni di dollari. Dal prossimo settembre, il costo salirà a 15.000 dollari per permesso, una misura pensata anche per limitare l’accesso indiscriminato. Ma ridurre il numero di scalatori comporta il rischio di colpire l’economia delle comunità locali, basata su guide, portatori, alloggi e commercio.
Il dilemma centrale è chiaro: come bilanciare sostenibilità ambientale e beneficio economico? Solo nei mesi di alta stagione, aprile-maggio e ottobre-novembre, il parco nazionale registra oltre 4 tonnellate di rifiuti giornalieri. Le feci umane contaminate, le microplastiche disperse e le perdite di carburante minacciano l’integrità dei ghiacciai, già messi alla prova dai cambiamenti climatici.
Aumentare i prezzi potrebbe rallentare il flusso turistico, ma penalizzerebbe gli operatori locali e ridurrebbe la redistribuzione economica sul territorio. Per questo, esperti e ambientalisti puntano su educazione, infrastrutture e regole chiare, ma anche su una responsabilità condivisa tra visitatori, enti pubblici e comunità locali.
Finché l’Everest continuerà a essere meta di migliaia di persone ogni anno, la sfida sarà trovare un equilibrio tra il desiderio di conquista e il dovere di proteggere uno degli ecosistemi più fragili al mondo.